venerdì 29 aprile 2011

Sospingimi, lanciami
da te, dalle tue guance,
come da isole di corallo,
a navigare, ad andare lontano
per cercarti, a cercare
fuori di te ciò che possiedi,
ciò che non mi vuoi dare.

Per rimanere sola,
inventami foreste vergini
con alberi di metallo
e giaietto; io le raggiungerò
e vedrò che non erano altro
che collane che tu pensavi.
Invitami a splendori
e sfolgorii, in lontananza,
neri, bianchi, con sorriso
d'infanzia. Li cercherò.
Camminerò per giorni e giorni,
e poi arrivando là dove sono,
scoprirò i tuoi sorrisi
larghi, i tuoi sguardi chiari.
Era questo
che là, lontano,
vedevo luccicare.

Da tanto e tanto viaggiare
non sperare mai che ti porti
altri mondi o primavere
che quelle che tu difendi
contro di me. Inutile
questo andare e venire fra i secoli,
i sogni, le miniere.
Da te io muovo sempre, sempre
devo tornare a te.

(Pedro Salinas)


Quando tu chiudi gli occhi
le tue palpebre sono aria.
Mi trascinano:
vado con te, dentro.

Non si vede nulla, non
si sente nulla. Superflui
gli occhi e le labbra,
in questo mondo tuo.
Per sentire te
non valgono
i sensi consueti,
che si usano con gli altri.
Bisogna attenderne di nuovi.
Si cammina al tuo fianco
sordamente, al buio,
inciampando nel forse,
nelle attese; sprofondando
verso l'alto
con gran peso di ali.

Quando tu riapri gli occhi
io torno fuori,
ormai cieco,
inciampando ancora,
senza vedere, nemmeno, qui.
Senza sapere più vivere
né in quell'altro, nel tuo,
né in questo
mondo scolorito
dove io vivevo.
Incapace, indifeso,
fra l'uno e l'altro.
Andando, venendo
dall'uno all'altro
quando tu vuoi,
quando apri, quando chiudi,
le palpebre, gli occhi

(Pedro Salinas)

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